Riportiamo il racconto di un ex-bambino-paziente talassemico, seguito
all'Ospedale dei Bambini negli anni tra il '60 e il '70, in via
Savonarola, "da Ortolani":
Una settimana al mese la si passava, sistematicamente, in Ospedale,
"da Ortolani".
La settimana, e il ricovero, iniziavano, naturalmente,
il Lunedì, alla mattina, con la lunga fila per lo spuncino, cioè per un
piccolo forellino, fatto con un pungi-dito "a molla" (automatico o
manuale) da un ditino della mano, con il riempimento di una provetta
mediante aspirazione a fiato, effettuato dalla mitica Signora
Roveroni, o Signora Alberta, (ed io mi domandavo "ma se aspira
troppo, questa qui, si beve, 'sta schifezza"), per poi attendere l'esito
di quanti milioni di globuli rossi e di quanta emoglobina ti restassero
in corpo, anzi per mmc: un dato che serviva per decidere se e di
quante trasfusioni ci fosse bisogno (di solito due), quindi per
procedere o meno al prelievo dal braccio per raccogliere il sangue
necessario alla prova crociata e al controllo degli anticorpi.
Dopo il prelievo si attendeva la chiamata per i raggi (schermografia
del torace); spesso vi era la corsa per arrivare prima a fare questi
raggi, per una serie di motivi: perché era uno spasso in sé, perché
faceva piacere sentire le battute e il dialetto di un'infermiera un po'
rude ma simpatica, l'Assunta (che nello stanzone semibuio
esternava: "Dai andèmo movite, spòiate e sta pronto per mostrarme
sto' fusto"). L'Assunta aveva un camicione legato davanti e dietro e
non so quanti altri lacci e laccioli, due guantoni enormi e grossi di
spessore; e sopra a tutto metteva un ulteriore copri grembiule che
sembrava un'armatura. L'Assunta terminava quasi sempre dicendo
"ben andèmo !!! em finìì !!! destrìghetete !! che vago avanti". Ma
noi, specialmente, si correva perché chi prima arrivava meglio
alloggiava: aveva modo di scegliere il letto o la posizione del letto
nel camerone dei maschi o delle femmine (circa 8-10 letti per
bambini e di fronte i letti grandi delle mamme).
Nel pomeriggio era consentita la vita di giardino oppure la
passeggiata in centro città (per chi aveva la possibilità economica di
qualche piccola spesa); rientro per l'ora di cena, solitamente alle 18;
poi seguivano libertà di giochi liberi, nascondino tra i letti; carte o
tombola; meraviglia e ammirazione per giochi nuovi portati da amici
di varie provenienze. Verso le ore 23 o 24, spesso, si era costretti a
terminare la lunga giornata dello pseudo-ricovero perché si riceveva
la visita delle suore che con grande energia pregavano le mamme di
rimboccare le lenzuola ai bambini e di metterli quieti, perché il
baccano che facevano rendeva loro impossibile prendere sonno, visto
che loro alloggiavano proprio al piano di sotto.
Un'amica, E, ricorda così il "suo" Lunedì:
"il giorno del ricovero, tra le tante trafile mediche, passavo prima di
tutto, con la mamma, a pagare (per il mangiare per la mamma)
nell'ufficio delle segretarie (la "Nadia" e la "Natalina"); poi
andavamo al piano terra vicino alle cucine generali, dove l'odore del
mangiare, ragù o altri odori, preludevano a chissà quale pranzo (in
realtà era sempre quello), per salire poi con l'ascensore (modello
grata aperta, con porte in legno, il cui rumore faceva accorrere
bambini e genitori a curiosare su chi stesse arrivando); alla fine,
arrivata al piano, ero presa dal timore che mi ricoverassero dentro
quegli stanzoni pieni di gente sconosciuta e rumorosa, ma quasi
sempre per mia fortuna venivo collocata in stanzine piccole, al
massimo con un'altra bimba... (forse erano stanze a pagamento);
fortunatamente erano già gli anni settanta e la mia degenza era di soli
pochi giorni, ricordo molto bene.
Ricordo anche che mi veniva a prendere mio papà; e quando vedevo
l'auto sbucare dalla via di fronte all'entrata capivo che finalmente
andavo a casa. Ricordo il fantastico mangiare (adesso mi viene la
nausea, ma allora il budino e i gobbetti al ragù erano una prelibatezza
anche per me che non mangiavo niente). Ricordo il terrore di mia
mamma per gli scarafaggi e i pipistrelli che alla notte giravano per i
corridoi; e, aggiungo io, per l'odore nelle serate e notti estive degli
zampironi a fumo e delle spruzzate antizanzare ecc, visto che non
esistevano né zanzariere né tantomeno condizionatori.
Ricordo che spesso veniva mia zia con me perché i miei genitori
lavoravano, ricordo le mamme dei bimbi che rimanevano in ospedale
più giorni, che si facevano la piega ai capelli, si facevano da
mangiare con un piccolo forellino situato in un anti-bagno negli
stanzoni/camerate, praticamente erano una famiglia. Ricordo il
profumo dei tigli del giardino... (ancora oggi quando sento questo
profumo, mi viene in mente quel periodo); ricordo la Cooperativa,
dove si faceva sempre una sosta per acquistare un "pinzoncino"
fantastico, oppure qualche giochino...; ricordo la capanna del
giardino che ci dicevano che lì c'erano i bimbi morti; ricordo frate
Marcello che tutte le sere veniva a salutarci e ci dava un buffetto
sulla guancia.
Ricordo un dottore che era molto gentile con alcune mamme, mentre
con altre era molto scorbutico, però per molti di noi era una
sicurezza.
Ricordo l'ascensore dove si paga un soldino per salire, la macchina
dei gelati, mettevi i soldi... si apriva uno sportellino con dentro il
ghiaccio e il gelato appoggiato.
Terminati i ricoveri, era già ora del carrello della pappa, servita dalle
suore (poesia della pappa "da Ortolani", odori multipli, pappa
asciutta, migliore quando si mangiava fredda o semifredda verso la
tarda ora serale o notturna, polpetta bianca macinata, secondo me,
cotta nel brodo di carne??) "Acciabò la pastina o maccheroni in
brodo". Cosa diversa e ricercatissima erano le favolose e famose
polpette rosse, gustose, roba che, affiancate ad un buon purè, non
esiste miglior ristorante e miglior chef che ti possa sfornare e servire
niente i meglio; e patata fritte o patata al forno?? Ok il budino;
meraviglioso il pane a gobbo, eccezionale anche da mangiare da
solo; e alla fine mele e frutta cotte o frullate (ma nessuno la prendeva
perché voleva dire non star bene).
Era passata una leggenda per cui le polpette rosse, sempre contate e
mai a sufficienza, erano predestinate ai prediletti dalle suore, o ai
pazienti erano imparentati con altre suore, o magari con preti, o
comunque e sempre del paese di qualche suora". Chissà.
Il Martedì era la giornata della prima trasfusione; per alcuni era
incombente il digiuno, per esami vari prescritti; il mago dei prelievi,
ovvero il "Vena-Kid "della sequenza ritmica della serie dei prelievo-
trasfusione era il mitico dottor Borgatti Luigi; la media dei suoi
errori, fortunatamente, era bassissima, minima, la totalità dei pazienti
presenti complessivamente nei cameroni sala A-B-C-D- 13 ecc. si
aggirava intorno alle 30 unità, e solamente 3-4 casi di vene
impossibili costringevano il mitico dottore a cercare qualche vena
di accesso "strano", per lo più nel collo, alle giugulari, oppure o nei
piccoli vasi della fronte dei bimbi, quasi dei capillari, semi-invisibili;
il dramma era al termine della trasfusione, quando, per circa l'80-
90% dei pazienti gradualmente o in contemporanea, iniziava la
batosta del brivido o della "reazione trasfusionale": questa consisteva
in brividi di freddo polare, anche d'estate, male a tutte le ossa
schiena, gambe, ecc, forti mal di testa e spesso vomito finale con
febbre, spesso oltre i 38°-39°; la sete sofferta in quelle ore era
terribile, ma tutto terminava nel giro di 2-3 ore. Verso le quattro del
pomeriggio, al massimo, quando la reazione era passata, spesso
anche contro la volontà dei genitori o dei nonni presenti, i nostri
angeli custodi per tutta la durata settimanale del ricovero, si andava
in giardino a giocare prima in sordina poi con vere e proprie partite
di calcio. E non si disdegnava nemmeno di approfondire la
conoscenza delle amiche femmine alcune veramente carine o
simpatiche, che noi ragazzini ci adattavamo a far contente giocando
con loro a "mamma e papà", oppure a "dottore e infermiera", o a
"ruba bandiera", o così via.
Se poi la giornata non consentiva di uscire in giardino gli stessi
giochi si facevano nello stanzone-corridoio; fino all'arrivo del
carrello della cena, sempre servito dalle nostre care suore.
Poi la sera passava, come la sera precedente, con la sgridata delle
stesse, angeliche, suore per il nostro fragoroso baccano.
Il Mercoledì, giornata strana e discretamente libera, scuola alla
mattina , non tutti aderivano, e spesso alcuni ci venivano portati, non
si dice con la forza, ma quasi, quanto meno con piccole sollecitazioni
fisiche; poi pappa, poi giardino o uscita in centro Ferrara; poi sera
come le sere precedenti, interrotte qualche volta dalle inaspettate
visite di familiari diversi dai nostri soliti angeli custodi.
Il Giovedì giornata della seconda trasfusione, sempre con le sue
brave ore di brivido; e poi tutto di seguito come le altre precedenti
fine giornata.
Il Venerdì, giornata libera; oppure giornata utilizzata per alcune
indagini da eseguire all'ospedale Sant'Anna, che raggiungevamo a
piedi o, in alcuni casi, con l'ambulanza.
Il Sabato mattina era ancora la giornata dello spuncino, dell'ultimo
spuncino, per verificare il livello di emoglobina effettivamente
raggiunto con le trasfusioni; e poi, in mattinata le dimissioni, uno per
uno, con i vari "arrivederci al prossimo mese".
Associazioni
- Unione delle associazioni dei pazienti talassemici
- Associazione per la lotta alla talassemia di Ferrara
- Società Italiana per lo studio della Talassemia ed Emoglobinopatie
- Thal Lab Homepage
- Associazione Talassemici di Torino
- Associazione Talassemici e Drepanocitici Lombardi
- Associazione Veneta per la Lotta alla Talassemia
- Associazione Emofilici di Ravenna (EX)