Il libro "Una storia ferrarese"
Come è nata l'idea.

Gli sviluppi che si sono susseguiti, quasi tumultuosamente, nel corso degli ultimi cinquanta anni nella diagnosi e cura della talassemia, hanno trasformato in modo sostanziale la condizione fisica e psicologica della persona affetta da anemia mediterranea. Il lavoro di pediatri, medici e ricercatori che hanno dedicato a questo scopo sforzi ed energie generose e costanti, ha trasformato le condizioni di vita dei bambini, poi ragazzi ed ora adulti.
Con questo libro, si vuole ricordare l'esperienza del centro della microcitemia, Ospedale dei Bambini e successivamente Day Hospital della Talassemia della Divisione Pediatrica dell'Arcispedale Sant'Anna di Ferrara, dove, sotto la guida illuminata di primari quali il prof. Marino Ortolani (dagli anni '50 ai primi anni '70), il prof. Calogero Vullo (dal 1972 agli anni '90) e il dottor Vincenzo De Sanctis (dagli anni '90 ai giorni nostri), le équipe di medici ed infermiere che si sono succedute in quel Reparto e in quegli anni hanno creato un ambiente accogliente, familiare, operoso, pieno di volontà di sperimentare e curare, che ha finito per regalare ai bambini malati la prospettiva di una vita normale e con condizioni sempre migliori per il loro futuro, e per quelli che sono venuti dopo di loro.
Il libro vuole ricordare, per quanto possibile (in realtà è quasi impossibile) il lavoro di ognuno di questi medici, infermieri, ricercatori e raccontare anche alle persone che non sono coinvolte da questa patologia (la talassemia), come sono effettivamente cambiate, negli anni, le condizioni di vita dei malati.
E' importante farlo, sia per far conoscere cosa può ottenere il progresso guidato dall'impegno professionale, dall'amore per i pazienti e dall'attenzione ai bisogni di questi ultimi, sia per far conoscere bene a tutti, giornalisti compresi, la realtà attuale della talassemia per poterla trattare senza superficialità.
Lo spunto per queste pagine è venuto proprio dal prof. Vullo, il quale leggendo un articolo di un quotidiano nazionale si era stupito delle affermazioni in esso contenute che, tralasciando completamente gli sviluppi degli ultimi quarant'anni, consideravano ancora la talassemia sulla base delle conoscenze degli anni '60, definendo il paziente talassemico come un soggetto con aspettativa di vita al massimo di trent'anni, senza prospettive di inserimento sociale e lavorativo, senza la speranza di una vita normale con famiglia, figli, amici, scuola...
Ancor oggi, talvolta, giornalisti, medici di base, membri di commissioni mediche e giovani dottori, si rivolgono a soggetti talassemici in questi termini: "Quanti anni ha? Quaranta? Impossibile, forse non sarà talassemia... ". "Fate trasfusioni una volta ogni tanto?". "Ogni quanto tempo?". "Andate avanti fin che ce la fate?". "Ah, lei vorrebbe adottare un bambino? Ma quali garanzie può darmi sulla sua aspettativa di vita?". "Talassemia? è una forma di leucemia?".
Un altro obiettivo di queste pagine è quello di ricordare le condizioni di cura e di vita nel "Centro" di Ferrara: una vicenda storica che rischia di venir dimenticata, di scomparire dalla memoria in mezzo alle tante trasformazioni che da allora sono intervenute nella medicina in generale e nella Sanità italiana in particolare; una vicenda che, come altre della nostra vita collettiva, della vita dell'uomo, è giusto che vada, invece, raccontata e ricordata. Anche per fornire lo spunto a chi sia realmente interessato, per confrontare le condizioni del passato con quelle, del tutto differenti, del presente.
Nonostante la diagnosi prenatale abbia fortemente - anzi quasi completamente azzerato - dagli anni '80 in poi, la nascita di bambini con talassemia major, è tuttavia da segnalare come negli ultimi anni, proprio per la migliorata condizione ed aspettativa di vita dei talassemici, vi siano coppie di genitori microcitemici che volontariamente, dopo essere state correttamente informate sulle prospettive future, decidono di portare a termine la gravidanza dando alla luce un bambino talassemico. Si aggiunga che le dinamiche migratorie fanno arrivare nel nostro Paese nuove coppie portatrici, pertanto bambini con talassemia major continuano a nascere in Italia. È necessario quindi invitare il personale medico del futuro a non dimenticare la talassemia e a proseguire il lavoro dei medici che nel passato se ne sono occupati.
Queste pagine devono, inoltre, servire come ringraziamento e ricordo per tutti i donatori di sangue del passato e del presente, per far capire quanto il loro gesto sia stato fondamentale nella vita di tante persone, dei malati prima di tutto, delle loro famiglie, e anche dei medici, ai quali hanno fornito lo strumento primo, essenziale, il sangue, per portare a termine il grande sogno condiviso di dare una vita a chi era, dalla nascita, destinato a non averla. E pensiamo che questo nostro caldo ringraziamento possa servire anche a stimolare i giovani a dedicarsi alla donazione, gesto gratuito e vitale.
Con questo contributo, vogliamo infine far intendere a tutti, medici e non medici, il senso e il significato di un impegno complesso che parte dal dono del sangue, dal suo trattamento, dalla conservazione, dall'organizzazione della banca del sangue, ma che coinvolge tutto il sistema assistenziale e l'organizzazione delle cure, che nel corso degli anni è passata dal ricovero settimanale al day hospital, dalla Mutua al Sistema Sanitario Nazionale. La nostra storia racconta inoltre degli sviluppi della ricerca biologica, clinica, strumentale, che migliorano progressivamente le conoscenze sulla malattia, sulle sue complicanze, sulle tecniche trasfusionali e sulla sicurezza del sangue ed infine sul coinvolgimento, determinante, dell'Industria del Farmaco.